Dalla filosofia green ai principi dell’economia circolare
“L’Uomo è ciò che mangia” affermava il filosofo tedesco Feuerbach nel 1862 e un popolo può migliorare, solo se saprà migliorare il proprio sostentamento alimentare.
È ormai assodato che il rinnovato valore del cibo nella società con- temporanea debba aprire a nuove riflessioni, a partire dalle aziende di produzione, dei servizi, per arrivare ai consumatori che acqui- stano alimenti. Una deriva, questa, in cui la competitività e, quindi, la bontà di un’impresa deriva anche e soprattutto dal suo impegno a garantire adeguati livelli di sostenibilità sociale e ambientale nel contesto territoriale in cui opera. Non a caso, la sostenibilità socio-ambientale oltre che economica sono diventate parte integrante degli obiettivi di Agenda 2030, a livello internazionale, e della politica agricola a livello europeo con l’integrazione nella nuova Politica Agricola Comune (PAC) e nella strategia Farm to Fork (F2F; Commissione Europea, 2020).
Nel settore agro-alimentare la figura di consumatore è quella di un fruitore più consapevole e più attento ai propri acquisti sia in termini di qualità degli alimenti sia in considerazione degli effetti sociali e ambientali che tali beni producono. Il concetto di “consumo consapevole” ha fatto proprie molte caratteristiche che vanno ben oltre l’informazione sui rischi alimentari, includendo anche modalità di scelta di beni e servizi che tengono conto dell’impatto in termini sociali e ambientali dell’intero ciclo di vita del prodotto (ad esempio: le modalità di produzione del bene, il trasporto, le modalità di smalti- mento o riciclo, l’utilizzo di acqua e energia, l’utilizzo dei lavoratori contrattualmente in regola, senza sfruttamento di categorie deboli come immigrati, donne e minori, nonché la sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro), dando a tali aspetti un peso non inferiore a quello attribuito a prezzo e qualità. L’evoluzione del concetto evidenzia che il consumo consapevole non è solo una modalità di acquisto, ma si sta trasformando in un vero e proprio stile di vita.
Si consuma per distinguersi o per sentirsi parte di qualcosa.
Il consumo è diventato, dunque, un elemento centrale nella costruzione della nostra identità con l’obiettivo di contribuire, da un lato, a ridurre l’impatto ambientale e sociale della propria spesa e, dall’altro, ad indirizzare, attraverso le proprie scelte, il comportamento dei produttori verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Consumare in modo consapevole significa, infatti, domandarsi qua le sia il vero costo dei prodotti che acquistiamo, riconoscendo che ciò che compriamo è frutto del lavoro di una catena di persone che può avere effetto sulla salute e il benessere collettivo e del pianeta. Ne consegue che la pratica del con- sumo consapevole non consiste tanto nel rispetto di criteri prede- terminati, quanto nell’abitudine di porsi delle domande prima di scegliere un prodotto.
*Lucia Briamonte: Graduated in Economics and Commerce and Specialized in “Law and Economics of the European Communities” at the “La Sapienza” University of Rome. Senior researcher at CREA – Research Centre for Agricultural Policies and Bioeconomy
Il Rapporto Coop21 riporta “Sempre più sostenibile il carrello della spesa degli italiani”. I dati presentati nel rapporto e di seguito riportati, mostrano come “la sensibilità del consumatore al tema della sostenibilità ambientale, sociale ed economica resta alta e si riflette nella composizione del carrello alimentare, infatti, sono sempre di più gli italiani che scelgono marche e insegne attente alla tutela dell’ambiente, della comunità e del territorio” (Rapporto Coop21).
Dal rapporto emerge, infatti, che:
- 9 italiani su 10 prestano attenzione alla sostenibilità quando acquistano prodotti alimentari e bevande
- 1 italiano su 2 è disposto a pagare di più per avere un prodotto alimentare sostenibile
- la spesa per prodotti green nel carrello alimentare degli italiani è di 10 miliardi di euro
- l’81% degli italiani ritiene sia importante disporre di indicazioni in etichetta su come riciclare la confezione per valutare la sostenibilità di un prodotto.
Se è vero che sempre più persone si informano su cosa sia effettivamente la sostenibilità, la pandemia ha accentuato l’attenzione su queste tematiche, di conseguenza le caratteristiche green dei prodotti sono diventate un fattore decisivo nell’orientare le scelte di consumo alimentare.
In realtà, anche l’ultima fotografia sul consumo responsabile in Italia prima dell’emergenza sanitaria connessa alla diffusione di COVID-19, ci restituisce un consolidamento del consumo responsabile nel nostro paese: “La tendenza dell’ultimo ventennio è chiara con un incremento del +219% rispetto al dato contenuto nel rapporto Iref del 2002” (Forno e Graziano, 2020). L’Agenda 2030 riafferma la necessità di cambiamenti radicali per ristabilire l’equilibrio tra produzione e consumo, sancendo che “Si tratta di migliorare la qualità della vita, riducendo al minimo l’utilizzo di risorse naturali, di materiali tossici e le emissioni di rifiuti e inquinanti durante il ciclo di vita di prodotti e di servizi, salvaguardando le necessità delle generazioni future”.
Nel settore agroalimentare, il percorso delineato dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile richiede un’azione trasformativa, che abbracci i principi della sostenibilità, affrontando le cause profonde della povertà e dell’insicurezza alimentare e privilegiando l’adozione di processi di produzione innovativi capaci di ridurre gli impatti negativi sull’ambiente e sulle persone. Puntare sulla sostenibilità significa investire su ricerca e innovazione, creando prodotti e soluzioni non solo a basso impatto ambientale ma anche di migliore qualità e con meno sprechi (Segrè, 2014). L’innovazione ha un ruolo cruciale per il futuro dell’agricoltura per la produzione e la tutela dei prodotti e di tutta la filiera. Le innovazioni agricole entrano nella filiera agrifood con soluzioni che aumentano la competitività del settore e che migliorano qualità e tracciabilità del Made in Italy alimentare e a livello aziendale garantiscono efficienza ed efficacia, attraverso la riduzione di tempi e costi e, allo stesso tempo riducendo gli impatti negativi della produzione.
Questo è ancora più importante se teniamo conto della Direttiva in corso di approvazione a livello europeo che rappresenta un vero e proprio cambiamento nel modo in cui le imprese esercitano la propria attività attraverso l’intera supply chain globale. La Corpo- rate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) mira, infatti, a proteggere i diritti umani e gli impatti ambientali, generati dalle aziende europee lungo l’intera catena del valore, generando un impatto significativo anche sui paesi extra-EU in cui le imprese operano attraverso le loro filiere.
IL GELATO SOSTENIBILE:
UNA CHIMERA O UNA DERIVA POSSIBILE?
Ciò scritto, tradizione, gusto, creatività, innovazione, sono queste le caratteristiche che mi piace abbinare al gelato artigianale, che è sicuramente uno dei prodotti più apprezzati della gastronomia italiana. Ma è anche qualcosa di più: è un comparto che produce circa 2 miliardi di euro l’anno e muove oltre 70mila posti di lavoro. Sono questi i risultati dell’ultima indagine della Cgia di Mestre.
L’intero comparto del gelato, individuato dai codici Ateco insieme con le pasticcerie (non esiste un Codice Ateco dedicato alle sole gelaterie), conta al 30 settembre 2022 18.885 sedi di impresa attive per un totale di 25.528 localizzazioni e 76.778 addetti.
Più nello specifico, il mondo artigiano (inserito per la gran parte nei Codici Ateco 56.10.3 “Gelaterie e pasticcerie” e 56.10.41 “Gelaterie e pasticcerie ambulanti”) viene stimato nel rapporto Cgia in 15.719 imprese. Questi sono solo alcuni dati recenti che riguardano il comparto gelato artigianale con cui dovremmo fare i conti, sempre, soprattutto quando al centro del nostro interesse vi è un tema gigantesco come quello portato avanti, ovvero i principi green abbinati alla produzione del gelato artigianale. La domanda è: è possibile produrre un gelato sostenibile? Il gelato sostenibile rappresenta un esempio stimolante di come la filosofia green e i principi dell’economia circolare possano essere applicati anche nel settore alimentare. Nello specifico del mondo legato al gelato artigianale di tradizione italiana, ciò a mio avviso dovrebbe implicare necessariamente:
- L’adozione di una produzione che utilizzi INGREDIENTI SOSTENIBILI, ad esempio, ingredienti provenienti da agricoltura sostenibile e/o fonti locali, riducendo così l’impatto ambientale legato al trasporto e all’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, a tutela della biodiversità. Come? Considerando in primis, come fornitori, quelle aziende di produzione e di distribuzione specializzata, ad esempio, che siano capaci di tradurre in prodotti e/o servizi tali approcci, muovendosi cioè coerentemente con i principi cardine che prevedono il rispetto per l’ambiente e l’ecosistema più in generale.
Un modo diverso di intendere un mestiere, quello del gelatiere, che deve il suo successo ad un principio che trovo oggi, più che mai, inalienabile, ovvero il principio di artigianalità. Un approccio che fonda le sue radici nell’utilizzo di metodi tradizionali e artigianali, appunto, e che, proprio per questo, deve porre l’accento sull’innovazione, sulla dinamicità, sui dettagli, con creatività e unicità nelle pratiche di lavoro quotidiane. Il tutto, mantenendo uno stretto legame e conoscenza con i prodotti che si utilizzano, a garanzia di eccellenza e trasparenza degli ingredienti utilizzati.
- Attenzione verso la RIDUZIONE DEGLI SPRECHI durante la produzione del gelato attraverso l’ottimizzazione di gran parte dei processi produttivi, con analoga gestione accurata delle materie prime, ma non solo. La responsabilità deve coinvolgere, infatti, anche la modalità con cui vengono smaltiti i prodotti arrivati alla fine della loro vita.
- L’utilizzo di IMBALLAGGI ECOLOGICI, come ad esempio talune confezioni riciclabili o compostabili atte a ridurre l’inquinamento da plastica. Sono ormai molti, infatti, i prodotti derivati dall’utilizzo di energie rinnovabili e tecnologie a basse emissioni di carbonio. Pensiamo ai milioni di bicchieri, coppette, termoscatole, palettine e cannucce in plastica che abitualmente vengono ancora consumati nelle gelaterie.
- L’adozione nelle fasi produttive di ENERGIE E RISORSE RINNO- VABILI, grazie all’impiego di fonti rinnovabili per alimentare le attività produttive e adottare dispositivi e tecnologie a basso consumo energetico. Pensiamo banalmente ad un diverso utilizzo delle risorse idriche…ma non solo!
- Un diverso modo di UTILIZZA- RE GLI SCARTI, grazie alla trasformazione degli scarti di produzione in nuovi prodotti o compost, riducendo così l’enorme quantità di rifiuti che ancora oggi produciamo.
Infine, ma non per importanza, la promozione di una COMUNICAZIONE CHE SENSIBILIZZI sempre più le amministrazioni pubbliche, gli operatori del settore e il consumatore finale, sollecitandoli ad adottare pratiche più sostenibili grazie a scelte consapevoli e più responsabili, incoraggiandone l’adozione e promuovendo giustizia sociale.
L’applicazione di questi principi non solo ridurrebbe l’impatto ambientale della filiera del gelato artigianale, ma potrebbe anche rappresentare, più in generale, un valore aggiunto per tutto gelato artigianale made in Italy, attirando certamente consumatori ed investitori che cercano opzioni più sostenibili, ma contribuendo soprattutto a promuovere un reale e concreto cambio di paradigma, all’insegna cioè di una economia in cui far valere valori quali: sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale, salubrità, reciprocità… Valori, questi ultimi, generativi di innovative pratiche di buona condotta, per una qualità di vita e di relazioni migliori.
Da dove iniziamo?
di Aurora Minetti e Lucia Briamonte
Articolo apparso sulla rivista “Gelato Artigianale” n. 369 di Gennaio 2024.