Che cosa sono le emozioni?
Le emozioni sono ciò che sfugge all’autorità del soggetto isolato e lo supera.
Sono un’occasione per irrompere nell’altro. Sono il nostro reciproco agire. Sono ciò che ci unisce e che ci può dividere, rigenerandoci come individui, attori appartenenti a gruppi o comunità, in questo caso di artigiani del gelato.
Ciò detto, possiamo affermare che le emozioni rappresentano la dimensione fondamentale dei legami sociali (e dei mercati) e che senza di esse, a prescindere dal prodotto o dal contesto di riferimento, nulla può proiettarsi entro un arco temporale di lunga durata. Considerarle, valorizzarle e includerle in qualsiasi sistema organizzativo è la prerogativa indispensabile perché si generino buone pratiche e quindi buoni valori, pertanto, valutare la contrattazione “relazionale” quale processo, significa aver chiaro che alla base di ogni scambio, ancor prima degli oggetti, vi sono le persone, le stesse grazie alle quali poter ambire al successo delle nostre imprese.
In questo senso, la riflessione che vorrei sollecitare su questo numero di Gelato Artigianale è proprio attorno all’importanza delle emozioni, quali attivatori, collanti, veicoli indispensabili per la costruzione di qualsiasi progetto di vita e lavorativo. Riscoprendo con entusiasmo ciò che per troppi anni si è tentato di celare: le nostre emozioni, appunto, e quindi la nostra soggettività, i nostri sentimenti e i nostri desideri…barattati, più o meno consapevolmente, con il raggiungimento di obiettivi prefissati e non condivisi; diversamente, la qualità della nostra vita sarebbe certamente migliore. Innanzitutto, perché ciò ci porterebbe a sentirci tutti meno soli difronte a un mercato sempre più votato alla competizione e all’uniformizzazione dei modelli, e poi perché grazie alla messa in comune del nostro lato emotivo, potremmo aprire inedite connessioni capaci di reciproco aiuto.
È solo grazie alla condivisione delle di ciascuno fatiche, fragilità, e quindi anche emozioni che è possibile riconoscersi e quindi comprendersi e quindi sostenersi. Finché continueremo ad agire individualmente, sempre individualmente saremo costretti a risolvere le nostre incertezze.
Da qui, la convinzione profonda dell’importanza di ridare voce alle nostre emozioni, in quanto potentissime trame relazionali, al contempo scintille di libertà individuale e di responsabilità collettiva. A ricordarci che, volenti o nolenti, i movimenti anche più involontari, come le emozioni, sono anch’essi il frutto di opere comuni, o perché causati da altri o perché frutto della commistione di più impulsi che ne hanno generato l’espressione. Sempre a rammentarci che non esiste un io senza un noi e che, proprio perché quell’”io” stia bene, necessariamente dobbiamo prenderci cura di quel “noi”, troppo spesso rimosso. Come? Grazie al riconoscimento proprio di quelle stesse emozioni che tendiamo a reprimere nella nostra quotidianità. Recentemente ho avuto occasione di andare al cinema per vedere il tanto acclamato Inside Out 2: un capolavoro del disegno animato che già nella sua prima edizione destò l’approvazione unanime della critica, poiché riuscì a trasportarci in un universo dove l’animazione fu in grado di connettersi con l’essere umano, il disegno con la mente umana e i colori con le emozioni.
Una pellicola che parla più che mai di noi e delle emozioni che a volte noi stessi proviamo, sentiamo, ma che ci è difficile descrivere: emozioni spesso sottovalutate, derise, prese in prestito e decontestualizzate, ma capaci di togliere il sorriso, o di separarci dagli altri, distruggendo legami proprio come si distruggono parti della nostra mente. Da invidia a imbarazzo, passando per Ennui, la noia, giungendo a quell’Ansia di arancio colorata, i nuovi incontri emozionali tentano di ribaltare la vecchia guardia proprio come un adolescente tenta di sovrapporsi e sovvertire i propri genitori. Con l’obiettivo di trarne una propria identità, certamente frutto di una storia di vita, fatta di esperienze, ma di maggiore consapevolezza rispetto la necessità di “stare” sulle proprie emozioni, senza rifuggirle, cercando di utilizzarle anche come strumento di connessione con l’altro: collega, datore di lavoro, famigliare, amico…
Un modus vivendi capace di farci ritrovare senso di responsabilità da un lato, e una visione d’insieme e collettiva, motivandoci a partecipare attivamente alla costruzione dei processi interattivi, sociali e culturali nei quali siamo coinvolti, con conseguenze rilevanti sul pia- no etico e politico: abbandonando la vecchia logica per cui ci si senta sempre vittime di un Sistema “altro da noi”, che decide le nostre sorti.
Come sapeva bene l’avvocato Clamence di un importante romanzo di Albert Camus: “Ahimè, dopo una certa età, ognuno è responsabile della propria faccia…”.
di Aurora Minetti (Amministratore Unico di Puntogel Srl e Sociologa e Dottore di Ricerca in Scienze della Comunicazione).