Una pizza contemporanea che non dimentica la tradizione napoletana, ovvero la pizza secondo Diego Vitagliano, brand ambassador del Mulino Grassi
Occhi puliti, vivaci, intelligenti. Due figlie di dieci e undici anni, Ilaria e Flora. Che bello è stato conoscere un pezzo della Napoli più autentica, creativa, sorprendente. Uno scugnizzo dal sorriso disarmante che la gavetta (dura) e poi lo studio, la costanza lo plasmano e trasformano in maestro.
E che maestro! E’ Diego Vitagliano, classe 1985. Ha tenuto una masterclass a una platea formata da gelatieri, pasticcieri, pizzaioli, cuochi inchiodata alle sedie per quasi tre ore.
Che effetto ti ha fatto parlare di pizza a una platea così eterogenea?
Sorpresa, una bella sorpresa e un’ottima iniziativa. L’attenzione che hanno dimostrato i partecipanti mi conferma che la pizza può essere un alimento unificante diversi mestieri del gusto. Ho l’impressione che si stia creando una rete di interscambi molto importante. Non so dove approderà, ma so che è un bene. Sono tornato da poche ore dall’Argentina, dove l’interesse per la pizza si è dimostrato enorme. La pizza non ha confini, neanche geografici!
Tu sei tra coloro che hanno “rivoluzionato” la pizza. Hai voglia di raccontare?
La cosiddetta rivoluzione della pizza è iniziata circa otto anni or sono, quando siamo passati dall’impasto classico alle nuove tecniche della panificazione. Questo è stato il primo passaggio. Ho iniziato a sperimentare la tecnica “a canotto”, una tecnica vecchia di una cinquantina di anni e di moda al Vomero. Per intenderci, la pizza con il cornicione alto.
E poi?
E poi tanto studio. Anche perché dicevano che quella era solo una moda e che si sarebbe esaurita in poco tempo, invece erano i primi passi verso una rivoluzione vera e propria. Che, tra l’altro, non si ferma.
Il mio è un impasto indiretto con prefermento di tipo 1 bio, una lievitazione di 36 ore, alta idratazione e bassissimo contenuto di sale. Il risultato è una pizza leggera, morbida ma croccante, ad alta digeribilità. La collaborazione con Nicola Ascani, tecnologo alimentare del Molino Grassi, ha fatto la differenza ha stimolato la voglia di continuare ad approfondire, di studiare, di non fermarmi ai risultati ottenuti.
Questo per quanto riguarda l’impasto. E la cosiddetta sovrastruttura? Anche lì hai portato innovazioni importanti.
Come spesso accade in cucina, sono stato influenzato dalla mia famiglia, in particolare da mia nonna: una stella. Oltre alle pizze classiche, dalla margherita alla marinara, al calzone al forno… ne ho create nuove che nascono dalla tradizione napoletana rivisitata come la margherinara o al ragù. Comunque, per un buon risultato finale è fondamentale la continua ricerca e selezione di materie prime eccellenti.
Hai aperto una serie di pizzerie, dove?
Ora sono cinque: dalla prima aperta nel 2016 a Pozzuoli, due a Napoli, a Roma e una in Qatar a Doha. Il mio sogno…
Ma hai ancora sogni?
Certamente! Il mio sogno è aprire una pizzeria a Madrid, la Spagna è nel mio cuore.
Ma come fai a mantenere alto il livello di tutti questi locali?
Il segreto è la formazione. Dedico molto tempo a formare e aggiornare il personale locale sulle linee guida che hanno segnato il successo della prima pizzeria: attenzione maniacale alle materie prime, professionalità, serietà, studio, costanza, gentilezza, cortesia. Non lascio presa finché non sono sicuro che tutti i concetti base siano bene assimilati dal personale. Ma non finisce lì, perché è necessario un aggiornamento continuo. Per questo sono tranquillo, perché se costruisci basi solide poi le cose funzionano bene.
Aggiungiamo, che a oggi Diego ha raccolto numerosi e prestigiosi riconoscimenti: ha iniziato nel 2019 con la corona di pizzaiolo dell’anno del quotidiano il Mattino di Napoli, per proseguire con 3 pizze per le Guide dell’Espresso nel 2020, 3 spicchi del Gambero Rosso nel 2022 e prima posizione da Top Pizza nel 2023.
Chapeau, Diego!